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La Basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme – insieme a quella della Natività a Betlemme – è il complesso architettonico cui Bernardino Amico riserva la maggior parte dei suoi sforzi (1609, tav. 11): nell’edizione 1609 ben 10 tra piante e alzate sono dedicate al Santo Sepolcro, al Calvario e alle varie cappelle (1609, tavv. 10-20). Se si considera che l’edizione 1620 comprende anche due calcografie aggiuntive, portando il totale delle illustrazioni relative alla Basilica gerosolimitana a 12 (1620, tavv. 22-33), appare evidente come fra Bernardino fosse conscio della scarsità di rappresentazioni grafiche accurate in circolazione e dell’utilità della sua opera per il pubblico. A tal proposito, il cartiglio sulla tav. 33 dell’edizione 1620 offre un curioso indizio riguardo al lettore ideale immaginato dall’Amico: «Pianta et alzata del Santissimo Sepolchro in profilo aciò ciascuno si servi de la sua scala e farla di quella materia che più li piace senza troppo travaglio» (1620, tav. 33). Qui il frate si riferisce probabilmente agli artigiani che realizzavano riproduzioni in miniatura dei più noti santuari cristiani, o addirittura ad architetti intenzionati a ricreare in Europa il sacello del Santo Sepolcro a grandezza naturale.

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Le apostrofi ai lettori-artefici si moltiplicano nella sezione del volume che ospita le tavole sulla Basilica del Santo Sepolcro (1609, tavv. 19 e 20); ecco un esempio che denota tra l’altro l’orgoglio dell’autore per l’accuratezza che caratterizza i disegni: «Segue il disegno della pianta del Santissimo Sepolcro [...]. Hora si dimostra più partitamente, & in forma maggiore, acciò più sicuramente, & a minuto si possa misurare per la sua scala, & anco, perché il rilievo in prospettiva abbia la sua pianta proportionata; onde coloro, che si dilettano di maneggiare il compasso non troveranno una punta sola di differenza, o di sbaglio, fra l’uno, e l’altro» (1620, c. Ee1r).

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Già ai tempi dell’Amico la Basilica del Santo Sepolcro, fondata dall’imperatore Costantino dopo il concilio di Nicea (325), era stata distrutta e ricostruita: la parte centrale fu totalmente riedificata in stile romanico dai crociati, così come la facciata meridionale. Nel 1555, qualche decennio prima che fra Bernardino sbarcasse in Terra Santa, era stato effettuato un nuovo restauro per volere del francescano Bonifacio da Ragusa, a capo della Custodia. Ne sarebbero seguiti altri anche nel XIX sec. – uno a seguito dell’incendio che nel 1808 provocò il crollo della cupola dell’Anastasis e un altro negli anni ’60 e ’70 del secolo scorso (non ancora completato) a causa dei danni provocati dal terremoto del 1927. Per questo i disegni dell’Amico sono oggi così preziosi (1609, tav. 10): la dovizia di particolari e la precisione con cui piante e alzate sono tracciate consentono a storici e archeologi di ricostruire – anche virtualmente grazie a strumenti digitali di ultima generazione – la stratigrafia del complesso architettonico della Basilica del Santo Sepolcro. Alle specifiche di carattere tecnico il frate alterna l’indicazione dei luoghi considerati teatro della manifestazione del divino, segno che la sua è una vera e propria “archeologia del sacro”, dove misurare equivale a riattualizzare il mistero dell’Incarnazione. Lo si evince da passi come questo, in cui l’autore guida il lettore all’interpretazione della planimetria della Basilica del Santo Sepolcro: «La lettera M, rappresenta i luoghi, dove apparve Christo N. S. alla Maddalena in forma d’ortolano; & in quello verso al Sepolcro stava la Maddalena [...]. La lettera N, è la cappella dell’apparition di Christo alla B. V. [...]. Il circolo, che vi si vede disegna il luogo, dove stava la gloriosa Vergine, quando gl’apparve N. S. dopo la Resurretione, & è opinione, che quivi sia apparso prima, che in nessun’altro luogo» (1620, c. V2v). Nonostante il testo di commento alle calcografie si limiti spesso a un lungo elenco di dati e misure, non manca qua e là qualche nota di colore, specie quando l’Amico accenna alle scaramucce tra i frati e i locali: «Quel che il resto de’ numeri significa sta notato nella tavola [...] e tutto il resto della scala sopra della quale abitano Turchi, con le loro donne, e figliuoli, da i quali siamo molto travagliati, tirandoci spesso de i sassi, e buttando nella scala molte robe, e poi con gridi, e strepiti grandissimi chiamando alcuno de Padri abitanti, che ce le restituiscano sporgendo essi in giù una corda, & in questo gli buttano a dosso molte immonditie; onde v’è bisogno d’una gran pacienza, e di questa sorte di stratij se ne fanno di continouo, non ostante, che molte volte si dia loro da i padri, pane, aceto, olio, e molt’altre cose, che essi dimandano, non per bisogno ch’abbino; ma perché godano di levarli a i padri, i quali se tal’ora glie le niegano i sassi piovono, e multiplicano l’ingiurie, & i danni» (1620, c. X1v).

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Dell’esattezza che caratterizza le tavole del Trattato si è già detto più volte: attraverso il gesto grafico l’Amico “fotografa” la Basilica del Santo Sepolcro in un momento storico ben preciso, restituendo informazioni dettagliate – e altrimenti ignote! – sul suo stato conservativo a quella data. Talvolta anche le descrizioni testuali possono costituire una ricca fonte di notizie, come nel caso di questa digressione sulla Cupola dell’Anastasis (1609, tav. 12): «la cupola [...] è coperta di tavole, e travi, e lastricata di piombo, il quale è stato, & è malamente trattato da i Turchi, che ivi abitano, andandone alle volte levando or uno, & or un’altro pezzo; onde la cupola per la pioggia è tutta fracida, cascandone ogni giorno qualche legno, e ne nasce la rovina del musaico, e delle pitture, e se Iddio non provede si può dubitare, che un giorno non venghi meno tutta, & anco il santo Sepolcro, e quanto v’è di bello, e curioso» (1620, c. Z1r).

Benché senza dubbio Bernardino Amico sia stato il primo a rappresentare i luoghi santi sulla base di misurazioni esatte, il frate era pur sempre un uomo del suo tempo – dunque non estraneo a un certo gusto estetico tardo rinascimentale –, tanto da cedere di quando in quando alla tentazione di abbellire gli edifici da lui disegnati “correggendone” le irregolarità (1609, tav. 37): «Li zoccoli [delle colonne dell’edicola del Santo Sepolcro] sono differenti di altezza fatti grossamente, e così anco le colonne sono differenti di grossezza, e di lavoro essendone tonde ad otto angoli, e storte, & in somma pare in quanto al mio giuditio, che siano reliquie d’altri edificij: ma io l’ho fatte uguali, parte per negligenza, parte per abbellire il disegno; però dunque ho voluto avvertirlo, acciò il vero abbi il suo luogo» (1620, c. Ff1r). Quest’ultima puntualizzazione prova come, al di là di certe scelte di normalizzazione estetica, all’Amico prema soprattutto di mantenersi fedele a ciò che può vedere e misurare.

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