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La pianta della Basilica della Natività di Betlemme (1609, tav. 1) è la prima tavola che si incontra nel Trattato ed è estremamente accurata e dettagliatamente descritta. Si tratta di un edificio che mantiene la struttura paleocristiana del VI sec., a cinque navate con soffitto ligneo. I mosaici parietali, che occupavano i muri interni ma di cui solo una parte è giunta fino a noi, hanno visto un importante intervento di restauro tra il 2013 e il 2020. L’Amico si sofferma a lungo sulla Basilica, alla quale dedica alcuni capitoli che ne descrivono le varie alzate: il grande spazio che le riserva gli consente di essere molto specifico menzionando, per esempio, la piccola porta d’accesso all’atrio che impediva l’ingresso a cavallo, o la «sbarra» (1620, c. A1r) per chiuderla in caso di attacchi da parte ottomana. 

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Il grande disegno dell’alzata della Basilica della Natività (1609, tav. 2), che segue immediatamente la pianta, è «tirato in prospettiva». La linea nella parte superiore della tavola, infatti, indica la distanza da cui vedere l’immagine con un occhio solo, tenendo l’altro chiuso: questo dovrebbe conferire tridimensionalità all’illustrazione. È l’Amico stesso a fornire le istruzioni, molto specifiche, al lettore: «Per poter veder bene, e distintamente è necessario pigliare il suo punto, o centro con la sua distanza proportionata, che si dimostra per la linea posta sopra il medesimo disegno, avvertendo però, che non si facci, come d’alcuni, che pigliando la carta nelle mani uniscono l’occhio loro con quello della linea, guardandola per traverso; ma si deve mettere il disegno nelle mani, e serrando un occhio, con l’altro mirar il punto con tanta distanza, quanto è lunga la linea, stando in maestà, o in frontespitio, come vogliamo dire, & anco fuor di squadra secondo sarà fatta la figura, e fermando l’occhio per linea retta, e poi girandolo senza moto della testa, si vedrà il tutto di rilievo, come se fosse fabbricato di materia» (1620, c. C1r). Questo mostra con quanta cura e attenzione l’Amico si sia dedicato alla sua opera, mettendone in evidenza egli stesso le particolarità.

Non lontano dalla Basilica si trova la Grotta del Latte, dove la Madonna avrebbe allattato il bambino Gesù durante la fuga dai soldati di Erode. Questo luogo è ancora oggi visitato da moltissimi pellegrini, ma in particolare dalle donne (ebree, cristiane e musulmane) che pregano la Vergine di avere latte per i propri figli. A questa devozione dedica spazio lo stesso Bernardino Amico, che così scrive: «Lì si trova quella santa Spelonca, nella quale la Beatissima Vergine si nascose insieme co’l figliuolo Christo Nostro Signore per ordine di Giosef, quando fu dall’Angelo avvisato, che se n’andasse in Egitto; e quivi lattando il Glorioso Bambino, per la sopr’abondanza del latte dicono, che ne cascasse in terra; e perciò ha quel luogo ricevuto gratia particolare, onde non solo i christiani, ma gl’infideli pigliano ogni giorno di quei sassi, e gli lavano nell’acqua, e di quella poi danno a bere a i loro animali, quando per qualche causa gli viene a mancare il latte della madre; e questi sassi tritati anch’oggidì si chiamano latte della Madonna» (1620, c. B1v).