L’atto del pellegrinaggio, soprattutto per uomini nobili o uomini di Chiesa, poteva essere connesso alla messa per iscritto del viaggio compiuto: quasi un gesto rituale a conclusione del pellegrinaggio, soprattutto se la meta era Gerusalemme. Questi scritti di pellegrini danno origine ad un corpus che è possibile classificare come genere letterario autonomo, esclusivamente sulla base dell’oggetto che li accomuna; i sottogeneri e le contaminazioni presenti all’interno del genere sono infatti talmente vari che l’unico parametro adottabile per giustificare il riconoscimento di un corpus organico è appunto quello dell’oggetto comune alla narrazione: il pellegrinaggio in Terrasanta e la descrizione della Terra Santa stessa.

Questo tipo di letteratura fiorisce nel corso del Medioevo e varia a seconda dei momenti storici e delle capacità narrative dei viaggiatori. Le prime testimonianze, risalenti al IV secolo, sono piuttosto schematiche e si limitano a elencare le città incontrate lungo il cammino, le tappe e le distanze: la prima di queste è l’Itinerarium burdiagalense compilato nel 333 da un anonimo pellegrino; si capisce bene come questi itineraria avessero un carattere principalmente pratico. Una prima evoluzione del genere si ha con l’introduzione, da parte della pellegrina galiziana Egeria, di elementi che vanno oltre l’itinerarium: ricordi personali, riflessioni sui luoghi in relazione al loro carattere sacro e tentativo di far combaciare le descrizioni bibliche con il vissuto del viaggio, tutte informazioni che contribuiscono a dare maggiore dignità letteraria allo scritto. A fianco degli itineraria nascono le descriptiones dei luoghi santi che si configurano invece come vere e proprie guide, limitandosi a illustrare i Luoghi Santi, con riferimenti alle Scritture, senza preoccuparsi di personalizzare il testo con episodi personali accaduti durante il viaggio. I due generi tendono tuttavia a contaminarsi l’uno con l’altro tanto che diventa difficile distinguerli nettamente. Un sottogenere parallelo, nato a seguito della prima crociata, è costituto invece dalle cronache che descrivono le spedizioni militari d’oltremare e a cui si affiancherà, una volta fallito il movimento crociato stesso, il genere dei trattati per il recupero della Terrasanta.

 

 

La caratteristica comune a questi generi è la ripetitività degli apparati testuali che, soprattutto nelle descriptiones, erano pressoché privi di spunti personali degli autori, i quali non esitavano a desumere parti del testo da descriptiones precedenti e molte volte, proprio perché tali informazioni costituivano un patrimonio comune di conoscenze, non ritenevano necessario segnalare la paternità autorale del testo. Anche l’iconografia di questa letteratura di viaggio risentirà, soprattutto nel periodo della stampa, di una sostanziale schematicità e invariabilità delle rappresentazioni dei Luoghi Santi, a discapito della loro evoluzione nel tempo. Tutto questo in vista di un’economia della rappresentazione e di un rimando immediato all’immaginario ormai proprio di ogni pellegrino.

Nel XIII secolo, il progressivo indebolimento della presenza cristiana in Terrasanta causa una diminuzione dei pellegrinaggi, che non coincide però con un calo della produzione di letteratura di viaggio che conoscerà anzi una progressiva evoluzione: le aride descripitiones si trasformano lentamente in vere e proprie memorie di viaggio, testi dove gli autori inseriscono anche le curiosità e i fatti personali accaduti durante il viaggio. Esempi di questa evoluzione sono il Liber peregrinationis del frate Jacopo da Verona e il Libro d’Oltremare del francescano Niccolò da Poggibonsi.

Un’estrema conseguenza di questa evoluzione sarà, nel XIV secolo, la progressiva perdita di parte della funzione di “guida al sacro” di questi testi e il loro divenire semplice passatempo letterario, più attento a fornire descrizioni fantastiche o curiosità esotiche su un viaggio che spesso non era neppure stato fatto, ma che l’autore costruiva basandosi su fonti letterarie precedenti. A fianco di queste narrazioni permangono tuttavia quelle di autori che il viaggio lo avevano veramente compiuto, ma che ormai intendevano il proprio resoconto più come memoriale che come ripresa della tradizione degli antichi testi di pellegrinaggio e, di conseguenza, realizzavano dei testi ricchi e di elevata qualità letteraria, ma sostanzialmente di carattere autobiografico.

Nel XV secolo i pellegrini diminuiscono sempre più, ma aumenta invece la produzione di diari e relazioni di viaggio che, grazie alla stampa a caratteri mobili e alla crescente tendenza a scrivere o a tradurre in lingua volgare i testi, raggiungono un pubblico sempre più ampio, configurandosi come vero e proprio genere letterario. Nel XV secolo, nella letteratura di pellegrinaggio, il sacro e il profano convivono e il pellegrino intraprende il viaggio pervaso da un misto di devozione, interesse storico e geografico, curiosità e desiderio di evasione dalla monotonia quotidiana.

 

 

La varietà del genere, dettata anche dall’eterogeneità degli autori che si cimentavano in questa materia, fa sopravvivere, parallelamente alla letteratura di evasione, anche testi in cui, fino alla vera ripresa dei pellegrinaggi in Terrasanta, che si fa coincidere idealmente con il viaggio di François-René Chateaubriand, era richiamata all’attenzione dei lettori e dei pellegrini la centralità dell’incontro con il sacro, mettendo in guardia dal mettersi in cammino spinti dal solo desiderio di evasione o curiosità.